Tarja è un'esperienza che aiuta gli animi inquieti a realizzarsi in ciò che nel suolo pulsa: la fragorosa cenere di un manto d'arte. Il villaggio, collocato in una vallata non molto distante dai grandi agglomerati urbani, ha edifici in pietra di fiume, un pozzo rivestito in porfido e panche in legno massello. C'è una bacheca su cui affiggere un improvvisato componimento e appuntare un'idea sfuggente, si espone materiale autoprodotto (film, foto, musica, disegni, manufatti) dando sfogo al proprio spirito selvatico-romantico. Ogni oggetto ha una specifica funzione, ciò che sembra superfluo è in realtà simbolo o ricordo totemico e tutto, dalle bottiglie vuote alle maschere ornamentali, costituisce un fattore di riattivazione dei sensi. Gli Artieri, artisti-guerrieri di Tarja, sono sensibili, stipano per bene fiori secchi e chincaglierie varie, si stupiscono delle cose semplici, nostalgici e mai paghi d'esperienza, memorizzano un gran numero di informazioni. Sanno che la mente umana, simile ad un magazzino in cui la merce viene fagocitata per fornire spazio ai nuovi arrivi, necessita di un oggetto fisico che rinvenga sepolti flussi di pensiero. Ecco allora una foto, un ciondolo, per non dimenticare.
L'Artiere è un uomo pervaso da classici interrogativi esistenziali: quante persone non incontrerò? Perché non rivedrò molti dei miei amici? Come sarebbe andata se avessi scelto un altro colore? Ognuno è un potenziale residente, non ci sono cifre precodificate, il villaggio sorge là dove un ragazzo incontra chi ha la sua stessa capacità di sentire, il gruppo può spaziare da poche unità a centinaia di partecipanti. La strada che conduce alla fattoria è scomoda, ognuno può portare con sé ciclomotori e automobili, bauli e cianfrusaglie, non ci sono problemi di spazio, nessuno deve privarsi degli abituali comfort. Terminato lo strazio del sentiero sterrato si potrà apprezzare un sereno quadro campestre. Nel villaggio c'è sempre un'idea che fermenta, alla quale potere aderire spontaneamente, è un'idea che invoca altruismo, generosità e interdipendenza. Non esiste un capo ma un organizzatore, non c'è competizione ma cooperazione, esiste un regolamento che prescrive amicizia, comunità e amore. Integrarsi non è difficile, non c'è alcuna discriminazione, puoi professare religioni diverse e avere un qualsiasi colore di pelle, puoi vestirti o svestirti, coprirti di un velo di luce o crescere una fluida chioma abbinata ad una rigogliosa barba.
Nessuno ti considererà deviante perché i diversi si egualizzano in quel sacrosanto centro nevralgico di fratellanza che è il nostro villaggio. Qual è la novità?
Il ragazzo accolto in fattoria possiede una propria matrice cognitiva basata sulle esperienze vissute e sceglie Tarja perché è insoddisfatto e chiede qualcosa in più, riceve input negativi dal mondo sociale ma continua a vivere come preferisce e non come gli altri avevano previsto che vivesse. Convivere in nome degli stessi valori è già una vittoria ma è discutendo che si conquistano nuove terre. I ragazzi si dispongono in cerchio rivolti verso un fuoco alimentato dalle opposte tenebre. E' notte. Ciascuno sonda le proprie emozioni, fa un resoconto della propria vita, l'animo è rivolto all'ascolto e la mente alla parola, si narrano vicende importanti condividendo cultura e passioni, chi ha letto un libro ne propone un passo significativo commentandolo, chi suona uno strumento improvvisa un brano. La serata prende forma, ogni notte è una pagina da scrivere, nessuno può prevedere cosa accadrà... si è più duttili con un tetto di stelle sulla testa…”