Parliamo di ColibrÏ. Non parliamo di un libro oppure un monologo intellettuale, uníopera teatrale o il ricordo confuso eppur sempre presente in una vita.
Non parliamo di giovinezza e giovent˘, di bellezza e disincanto.
Non parliamo di realt‡, quella con quel corpo tanto dilatato che non si riesce a distinguerne che qualche vago contorno. Della smisurata variopinta inconsistente realt‡, regolata attraverso gli occhi e lo scrivere profondo di un ventisettenne. Giovane? Vecchio? Iperbolico oppure un neo-profeta dellíanatman, saldamente assiso sopra la sua personale saggezza?
Non Ë di questo che parliamo. No! Ecco! Parliamo di Arte! Profonda, consapevole Ars, bella, certamente dedicata alla scoperta di un proprio senso, alla ricerca di uno scopo, ma comunque intrisa di sÈ e per il gusto di sÈ. Ed eccola lÏ, la prospettiva buona! Girandosi nella giusta angolazione, si ricomincia a leggere ed ora si puÚ realizzare che Cheroes fa apparire tutto pi˘ rarefatto. Un poí come quel panorama del golfo che arriva a sembrare sempre uguale, praticamente noioso, ma in un bel gelido giorno invernale aumenta repentinamente di contrasto fino a bruciare gli occhi. Quando díimprovviso ci si ritrova a pensare. Ecco una novit‡, si pensa! Si pensa quanto sia incredibile il fatto di essere sempre vissuti lÏ, ma non esserci mai stati, non aver compreso. Che líamore Ë amore e la tristezza Ë tristezza, non cíË modo di ottenerne pi˘ di quanto essi non siano perchÈ la vita ìslittaî avanti e su nulla si ha un reale potere di definizione. E ciÚ Ë bello, per la stessa ragione di esserci.
Ed ecco trovare disteso sulla carta stampata un ìvivendoî nel quale, si ravvisa quasi subito, si comprende di essere in qualche modo gi‡ passato. Ed in queste esposizioni di vita vissuta líaria sembra assottigliarsi, perdere di consistenza cosicchÈ tra noi ed esse non vi sono pi˘ criteri di giudizio ma solo il bellissimo panorama e le sue nude caratteristiche, le quali possiamo scorgere e rimanere stupiti del fatto che Ë la prima volta che lo facciamo, a tratti interdetti di come tutto questo piaccia al di l‡ di qualunque riflessione e stato díanimo.
Dunque il vissuto ed il vivente sono proprietari di una innata bellezza ed ogni tentativo di classificazione, di valorizzazione, di giustificazione, provocano líunico effetto di far sparire tutto nellíinfelicit‡. LÏ dove si interpreta ogni singola azione e pensiero secondo una futile regola di calcolo del valore di mercato, del rapporto costi-benefici, Cheroes affronta la vita e ne gode il senso soltanto quando prescinde da tutto ciÚ. Senza altisonanti proteste, senza aggressioni. Semplicemente se ne astrae e sfronda il suo ambiente di ogni qualit‡ umanamente definita, umanamente infelice. E cosÏ fa Arte.
» delicato e bello, questo ColibrÏ. Come un vero ìgiovaneî non potrebbe mai essere se non quando ìinvecchiaî. Nessuna rabbia da Giovent˘ bruciata, non una crisi alla Welther, mai triste ironia come Radiofreccia. Cheroes scrive chiaro e profondo, senza mai sbragarsi e sprecarsi in pause lacrimevoli e frasi di disperata divertente autocommiserazione, con una personale sobriet‡ che lascia spazio alla sola bellezza. PerchÈ a che scopo buttare via il bello ed il gusto anche se si parla di fallimento, di confusione, di stanchezza? CiÚ non aggiungerebbe miglior sapore alla lettura e oltretutto rischierebbe seriamente di falsare il vero contenuto del lavoro artistico, che Ë ìlíartismoî e non la ìrealt‡î.
Profondo scrivere, quello di Cheroes Ë il suo inatteso e non obbligatorio tentativo di dare atto delle cose. Atto, non valore! Una sequenza di cronache che diremmo comunissime, a tratti quasi ovvie nel corso di una qualunque esistenza, le quali vengono sottoposte allíanalisi sostanziale cosicchÈ lungo la profondit‡ del ragionamento esse si nutrono di unicit‡. Fino a concludere che il risultato non costituisce alcuna suspense giacchÈ esso era stato sommessamente ma lucidamente presentato ancora prima del ragionamento stesso. La definizione delle cose mi ha deluso. Ne deriva la reale motivazione dellíopera: dare finalmente líunico senso decente possibile alla vita, fare Arte sopra il pancione di questo deluso banale mondo. E prima di ciÚ, nulla sono stato in passato.
A ben evidenziare la moderna e fresca neoclassicit‡ del testo, troviamo la compagnia di Lady Serpivia.
Si potrebbe comodamente considerare la Serpivia uníapparizione surreale, scenografica, ma personalmente mi piace considerarla di indispensabile sottofondo narrativo allo scopo di rendere chiaro ed univoco il filo conduttore dellíopera ed evitare eventuali onnipresenti noiose contaminazioni politico-scientifico-filosofiche. Un poí Deus ex Chernobyl, un poí Don Giovanni e lo spettro in uníest-Europa contaminata di emissioni radioattive, questo entusiasmante personaggio compare nei due capitoli fondamentali e perciÚ dal titolo fondamentale.
Il Libro Primo segue immediatamente la presentazione essenziale del personaggio-scrittore, la sua posizione nei confronti di sÈ stesso e dellíîoltreî, e fuga immediatamente ogni possibile equivoco sullíargomento del libro. ColibrÏ non sono ìConfessioniî e non ci saranno miracoli, nÈ sono ìLettereî e non ci saranno climax passionali. Si parla di quello che cíË, cíË ìtalmente beneî che nessuno lo vede, la qual cosa potrebbe anche andar bene, se non fosse che cosÏ líarte svapora e líinfelicit‡ mi ha lasciato affondare. Un riepilogativo contrasto delle nostre pi˘ solite solide paure, fobie, rigidit‡ intellettive ed emotive, la Lady non recita e non si fa cruccio di chiarire platealmente il suo ruolo nella storia ma si insinua nelle nostre visioni chiare ed autentiche cosÏ come in quel vicolo che conduce alla Bottega. Ella ci conduce, senza sforzo ed alcuna coercizione, verso líevolversi di una mente che pian piano si libera del superfluo, del ìvolutoî.
Nel Libro ultimo la Serpivia riprende a vivere. Il capitolo da eco al Primo e finalmente ci mostra la vera bellezza che non puÚ svaporare. Proclamando, laddove ce ne fosse stato il bisogno, che ColibrÏ e un libro ìartisticoî.
Come dovrebbe esserlo la vita stessa.